Il sito e i suoi misteri

Dal libro di Christin Jacq: La valle dei Re. I - Il sito e i suoi misteri
Per raggiungere la Valle dei re bisogna innanzitutto recarsi a Luxor, nell'Alto Egitto, a seicentocinquanta chilometri dal Cairo. Sulla riva orientale del Nilo si innalza immensa la città-tempio di Karnak, che comprende il tempio di Luxor. Luxor, che fino a poco tempo fa era una cittadina pigra e tranquilla, si e trasformata in una mecca del turismo, approdo di decine di navi da crociera. Da questa sponda, lo sguardo scopre le falesie e le montagne libiche, che si ergono enigmatiche, selvagge e quasi ostili sulla riva opposta.

E dietro questa barriera montagnosa, talvolta perduta nella foschia mattutina, dietro il circo roccioso di Deir el-Bahri, che si nasconde la Valle dei re, cuore di una regione isolata e arida che sovrasta el-Qurn, "il corno".
Domina questa depressione la "cima", che, simile nell'aspetto a una piramide, veglia sulle sepolture reali; dentro di essa vive Ia dea del silenzio, che metteva a dura prova gli artigiani incaricati di costruire e decorare le tombe. La Valle coincide con l'inizio di uno uadi scavato dalle piogge, che erosero il calcare e formarono una conca spesso oppressa da un'intensa calura. Per giungervi, bisogna seguire la strada che parte dall'imbarcadero, attraversare la zona coltivata e poi, all'improvviso, penetrare il deserto e addentrarsi in un paesaggio di rocce e colline. Questo percorso è lo stesso che seguivano, più di tremila anni fa, le processioni funebri che conducevano i re d'Egitto alla loro estrema dimora. A nord del tempio di Sethi I, a Qurna, la montagna si muta in una barriera di protezione; incute rispetto al pellegrino e annuncia la maestosità del luogo, così distante dal mondo degli uomini e delle loro quotidiane preoccupazioni.

Modellata nella preistoria dal corso dei torrenti e dalle piogge, la Valle si spacca in due rami; quello occidentale, il più ampio, comprende appena quattro tombe, delle quali due sono sepolture reali; quello orientale, la Valle dei re propriamente detta, ricevette il nome arabo di Biban el-Moluk, ossia "le porte dei re". L'entrata del sito, fino alla costruzione della moderna strada d'accesso, era costituita da uno stretto passaggio, attraverso il quale si accedeva a un anfiteatro delimitato da falesie dirupate. Un corpo scelto di polizia, alloggiato in una fortezza, vegliava su questa porta di pietra.

Qui scorre una vita segreta, immutabile, che solo il silenzio permette di percepire. Qualche sparviero, dei pipistrelli, una volpe del deserto e qualche cane sono i soli ospiti di questo paesaggio minerale, insensibile al fluire dei secoli. La scenografia naturale e di grande impatto: I muri di pietra sembrano altissimi, e l'impressione di isolamento e assoluta, nonostante le coltivazioni e il mondo esterno siano relativamente vicini. I suoni si diffondono in maniera sorprendente, tanto che i passi del visitatore risuonano di falesia in falesia.

L'afflusso dei turisti e l'intrusione della modernità non hanno cancellato la sacralità del sito; la Valle fu creata secondo uno spirito e in un universo radicalmente diversi dal nostro, regolato da un re-dio, il Faraone, e da un'economia fondata sulla prosperità del tempio e sulla solidarietà. Non vi era ricerca di guadagno né di benefici materiali: l'essenziale era scoprire un punto di condensazione dell'energia nel quale si fondessero armoniosamente il cielo e la terra. La Valle è uno dei luoghi del pianeta in cui questa unione è più palpabile; come scrive Romer, si tratta di uno "spazio accuratamente scelto e disposto per grandi drammi cosmici", il più importante dei quali è la morte e la resurrezione del Faraone.

La Valle non ha un aspetto funereo; al contrario, essa accoglie la luce, sia palesemente nelle sue rocce e nelle sue falesie, sia segretamente nella pace delle tombe. Non è solamente umana, poiché si situa anche al di là dell'esistenza terrestre: “paesaggio antropofago", la definisce giustamente Flaubert, nel senso che divora l'umano per far apparire il divino. Non è forse la Valle il "bell'Occidente", l'aldilà presente sulla terra e reso visibile?

Il sigillo della Valle, inciso sulle porte delle tombe, raffigurava Anubi sovrastato da nove nemici incatenati. Queste nove figure simboleggiavano le forze del male e le potenze distruttrici che devono essere controllate e soggiogate; Anubi, custode dei segreti della mummificazione, è il dio che guida sui sentieri dell'altro mondo. Come si spiega dunque questa attrazione per la Valle, questa fascinazione, se non con il fatto che essa custodisce le risposte alle domande più essenziali e ci fa partecipare, più o meno consapevolmente, al suo mistero? Per cinque secoli, esso fu inciso nella pietra e scolpito sulle pareti delle tombe; per l'Egitto, l'esistenza terrestre del Faraone era semplicemente un passaggio tra la luce dalla quale proveniva e i paradisi ai quali era ammesso in qualità di "giusto di voce".

Per raggiungere la vita eterna, fuori dal tempo e dallo spazio, occorre una scienza dell'aldilà che bisogna apprendere quaggiù, e le tombe della Valle sono consacrate proprio alla trasmissione di questa scienza. Non è un sovrano qualunque che resuscita, ma Faraone, e attraverso di lui il suo popolo. In questo luogo, che non lascia indifferente nessun visitatore, si celebra il gioco della vita e della monte. La Valle è un luogo di vita perché le dimore dei faraoni non si riducono a semplici sepolture, ma, grazie ai geroglifici e alle immagini, sono invece libri pieni di insegnamenti.

Forbin, direttore dei musei della Restaurazione, durante una sua visita alla "valle sacra" scrive: "Tutto intorno a me diceva che l'uomo e qualche cosa solo grazie alla sua anima; idealmente re, e tuttavia fragile atomo per il suo involucro mortale, la sola speranza in un'altra vita può renderlo vincitore in questa lotta continua tra le miserie della sua esistenza e il sentimento della sua origine celeste... In questi luoghi oscuri, credevo di trovarmi in balia di un incantesimo, come accadde ad Aladino; mi sembrava di essere guidato dalla luce della lampada misteriosa, e di poter essere iniziato a qualche grande mistero".

Questo mondo chiuso, così sterile in apparenza, aveva un nome straordinario: sekhet aat, “la grande prateria”. Questo piccolo dettaglio mostra lo scarto che esiste tra la visione egizia della morte e la nostra. Le pietre della Valle e le sue tombe sono la traduzione palpabile di un paradiso celeste; uno sguardo attento può scorgere in essa la prateria meravigliosa dove Faraone, dopo aver superato le prove estreme, trascorre una serena eternità.