Antico Egitto a Trento

La "montagna dei morti" di Assiut: a Trento di scena l'Egitto mai visto. Al Castello del Buonconsiglio, i materiali del Museo Egizio di Torino scavati dal grande Schiaparelli nel 1906-1913 e mai esposti. Sarcofagi dipinti e tombe con corredi che devono assicurare al defunto la vita nei "milioni di anni", l'eternità dell'Antico Egitto. Una collezione inedita anche dal Castello trentino

TRENTO - I problemi (lavori) dei musei intelligenti possono essere occasioni di mostre impossibili, fatte con prestiti di decine di opere o di centinaia di materiali archeologici da parte di un museo. Fa comodo liberare i cantieri senza dover trovare altri spazi. Proprio quello che ha dato vita alla mostra "Egitto mai visto" a Trento, al Castello del Buonconsiglio, fino all'8 novembre. "Egitto mai visto" perché i materiali sono usciti per la prima volta dai depositi del celebre Museo Egizio di Torino, impegnato nei lavori che gli cambieranno faccia e sostanza come unico inquilino del Palazzo delle Scienze finora diviso con la Galleria Sabauda. Nel 2011, scadenza che l'Italia, in particolare Torino, non può sgarrare perché segna i 150 anni dell'unità del Paese, l'"Egizio" dovrà avere visitabili il nuovo spazio sotterraneo, il piano terreno e il primo piano (nel 2013 il secondo piano). E intanto la "Sabauda", che si trasferisce alla "Manica Lunga" di Palazzo Reale (deve essere pronta lo stesso 2011), ha riempito di capolavori una mostra a Bruxelles.

Ma il Castello del Buonconsiglio non fa solo l'ospitante. Ha messo in mostra quello che di antico egizio dormiva da più di un secolo e mezzo nei depositi, dal 1858 quando Trento ricevette in dono la collezione dell'ufficiale asburgico Taddeo de Tonelli. Oggetti acquistati nella prima metà dell'Ottocento quando l'Europa era preda dell'"egittomania". Centinaia di amuleti, soprattutto scarabei del cuore, monili in paste vitree colorate. Centinaia degli affascinanti "Ushabty", "colui che risponde": statuine in legno, pietra o altro, di servitori che sostituiscono il defunto chiamato per esempio a lavori agricoli nei campi dell'aldilà. Una maschera funeraria in foglia d'oro. E una mummia del I secolo avanti Cristo, di gatto. Il felino aveva un posto privilegiato fra gli animali dell'Antico Egitto che rappresentavano le divinità e diventavano sacri. Era associato a Bastet, dea della fertilità e se uno uccideva un gatto rischiava la vita. Sabina Malgora ci ricorda che quando un gatto moriva i padroni eseguivano lamentazioni e si rasavano le sopracciglia in segno di lutto. E quando moriva il padrone il gatto mummificato lo seguiva nella tomba. Certo non tutto era edificante. A Bubastis, città sacra alla dea-gatto, sono state trovate 300 mila mummie di gatto. Questo significa che molti gatti venivano uccisi, che c'erano allevamenti di gatti cresciuti per essere offerti come "ex voto" a Bastet. Una "Tac" ha provato che il gatto del Buonconsiglio ha avuto una morte naturale.

La mostra è a cura delle specialiste Elvira D'Amicone e Massimiliana Pozzi Battaglia (sezione del Museo Egizio) e Sabina Malgora, col coordinamento del direttore Franco Marzatico (sezione del castello). Il catalogo presenta i materiali del Museo Egizio. Nel 2010 ci sarà il secondo volume con restauri della raccolta del Buonconsiglio che dopo la mostra diventerà parte della visita del castello.

Il piatto forte della mostra sono i materiali arrivati dall'"Egizio", sottotitolo "La montagna dei morti: Assiut quattromila anni fa". Il frutto degli scavi fra il 1906 e il 1913 di Ernesto Schiaparelli, direttore del museo di Torino per oltre trent'anni (1894 -1928), famoso nel mondo per la scoperta nella necropoli di Tebe della tomba inviolata di Kha, l'architetto di Amenofi III, e della tomba della regina Nefertari. Gli oggetti vanno dalla fine del III millennio avanti Cristo all'inizio del II millennio, dal Primo Periodo Intermedio al Medio Regno, 2100-1900 a. C. Un periodo particolare, di "secoli di crisi politica del potere centralizzato e l'affermarsi di autonomie locali in lotta fra loro" .

I materiali sono di Assiut e Gebelein. La prima era la capitale del XIII nomo dell'Alto Egitto, a circa 400 chilometri a Sud del Cairo, sulla sponda del Nilo. "Il punto di rottura tra Medio e Alto Egitto", qui la valle si restringe e chi occupa la posizione ha un "controllo strategico". Da qui partivano le piste per le oasi meridionali. Quella per Kharga è la "carovaniera dei quaranta giorni" che arriva fino in Sudan. Assiut è anche la meta privilegiata di spedizioni commerciali per il Centro Africa (legni scuri, avorio, pelli di ghepardo, piume di struzzo, incenso, oro), e anche il porto sul Nilo per la Nubia. Gebelein è poco sotto Assiut, vicino al confine meridionale con la Nubia.

I due centri acquistarono familiarità con le materie prime africane, in particolare il legno, e con le genti nubiane arruolate come arcieri. Nel corredo funerario il principe Mesehti, signore di Assiut, volle un esercito in miniatura di 40 lancieri egiziani e 40 arcieri nubiani. Archi e frecce erano dotazione normale delle tombe. I nubiani erano anche abili nella lavorazione di pelli e madreperla.

La ricchezza dei corredi funerari di Assiut - commenta Massimiliana Pozzi - dà subito l'idea dell'importanza della città. Il sarcofago di J è una cassa rettangolare di legno dipinto. Il defunto, imbalsamato, era deposto su un fianco con maschera funeraria sul volto in legno, stucco e tessuto e, una ricercatezza che non ti aspetti per un uomo, "bende impreziosite da merletti". Accanto aveva un bastone (comando), un arco e quattro frecce dalla punta triangolare in osso. Sul lato sinistro della cassa rivolta all'interno della tomba ad Est (per ricevere la luce del sole sorgente), è il pannello con gli occhi che mettono il defunto in contatto col mondo esterno. Possono procurare o allontanare il male e sono "associati a divinità cosmiche". La particolare foggia "con una linea che scende dall'angolo e un ricciolo che si allunga al di sotto", deriverebbe dal disegno del piumaggio del falco" (Horus) indicato come "udjat" (sano), l'occhio sinistro "perso e riacquisito".

Il legno della cassa ha una colorazione ocra con i geroglifici verde acqua che declamano l'offerta ad Osiride in pane, birra, un quarto di bue e oche, e anche l'antico nome della necropoli di Assiut, "Raqereret", che significa "Entrata delle grotte" e che i locali chiamavano "Montagna dei morti". Le iscrizioni del lato della testa affidano il defunto a Iside, quelle del lato dei piedi a Nefti, indicata nell'atto del pianto con un ciuffo di capelli (le lamentatrici dei funerali che si strappano i capelli).

Ricco il campionario di archi e frecce, scettri, rami per bastoni da passeggio, di rappresentanza e con l'estremità a "V" per bloccare un serpente. Alcune impugnature hanno la forma del geroglifico della parola "dominio", la stessa degli scettri trovati nelle sepolture maschili.

Ancora da Assiut due maschere di mummia, fine I-inizio II secolo dopo Cristo. Un "cartonnage" costituito da tele di lino usate, fogli di papiro non più utilizzabili, pressati con stucco per ottenere un supporto passabilmente rigido che può essere dipinto. Simulando le pieghe agli angoli della bocca, la rotondità del mento, i riccioli sulla fronte per la maschera femminile.

La pietra è il materiale privilegiato per l'"arte della celebrazione e la memoria", ma il legno regge il confronto a mille anni di distanza. In mostra c'è la metà di un volto (7 per 17 cm), che esprime "plasticità e raffinata definizione dei particolari", "espressiva bellezza". Provenienza probabile una necropoli di Tebe, da un sarcofago con il volto o la figura umana. Terzo Periodo Intermedio, 945-656 avanti Cristo. Può rientrare nelle scoperte fatte da Schiaparelli nel 1903 e 1906 nelle tombe della famiglia reale nella Valle delle Regine. Il "perfetto ovale" si raccorda col mento sporgente, la parte alta della guancia esprime "carnosità", le labbra "morbidezza sensuale" con quella sottile linea rossa di cui rimangono poche tracce all'angolo della bocca.

Sembra di essere in un santuario con tanti "ex voto" per grazia ricevuta: braccia, mani a dita aperte, chiuse a pugno, basi con tronconi di gambe. Sono le parti di legno di statue maschili o femminili da Assiut, con tracce di strato preparatorio in stucco per la stesura della pittura, di colore giallo quando si tratta di statue femminili secondo la convenzione egizia. Una produzione quasi di serie secondo modelli di dimensioni diverse. Rese con effetto le masse muscolari, curatissime le unghie.

Gli strumenti più diffusi nelle tombe di Tebe sono il mazzuolo di legno duro di forma conica e lo scalpello. In mostra c'è uno straordinario modello di legno dipinto alto 35 centimetri di uno scultore seduto ("modellatore di forme") che impugna un mazzuolo per scolpire statue in legno e lavorare pietre tenere. La decina di mazzuoli da Assiut ha segni di usura perché i mazzuoli venivano usati come martelli. Uno proviene da Deir el-Medina, 1450-1250 circa, ed appartiene agli operai che costruirono le tombe reali. Sono passati 700 anni, ma l'attrezzo non è cambiato.

Per gli antichi egizi - spiega Laura Donatelli - il sarcofago non era solo una cassa per il corpo, ma, insieme alla tomba, l'ultima dimora "dove il corpo conservato per l'eternità avrebbe affrontato il lungo viaggio dell'aldilà". Nei 50 anni in cui lungo la valle del Nilo mancò un potere centrale, l'arte fu "più originale e viva rispetto al periodo precedente". Più varie la forma e la decorazione degli oggetti, ma "di qualità leggermente inferiore rispetto alle botteghe che lavoravano per i faraoni e i principi delle dinastie precedenti".

I sette sarcofagi riuniti nello schieramento più spettacolare della mostra, del Primo periodo Intermedio, sono stati scavati da Schiaparelli nel 1908 e nel 1911-1913. Tutti di legno dipinto, color ocra, uno anche inciso con i geroglifici e gli occhi "udjat" in forma molto elementare. Spicca il sarcofago di "Mereru", l'unico completamente coperto di geroglifici che elencano le offerte e di numerosi disegni di offerte. L'interno del coperchio è decorato con una tavola stellare per il calcolo del tempo nelle stagioni. Su un tavolino tre vasi di pietra dai quali zampillano oli profumati sacri. Su un secondo tre borse di lino che il pittore "ha cercato di rendere tridimensionali". I sandali bianchi alludono "al fatto che il defunto ormai libero dalla polvere terrena incontrerà Osiride". Una ciotola con pestello è per il trucco del defunto "anch'esso propizio a conferirgli nuova vitalità".

La mostra presenta cinque rari sarcofagi femminili. Nella cassa di una giovane donna sono esposti "pettini per eliminare la forfora", un "bellissimo" specchio rotondo di rame o bronzo e l'impugnatura in legno a forma di fiore di papiro. Un vasetto di pietra conteneva un unguento per la pelle: la posizione nella cassa permetteva alla giovane di "goderne il profumo", quasi una restituzione del "profumo della vita" contro l'odore nauseabondo del corpo in decomposizione.

Una donna sui 35 anni era deposta in una cesta di 96 per 57 per 35 cm, formata da fasci di canne e ramoscelli legati con corde. La donna aveva la veste con la quale era stata sepolta: una tunica in stoffa pieghettata con corpetto, scollo a "V". E sotto la testa la tunica di "ricambio". La tecnica di confezione delle vesti di lino è ancora applicata dalle tribù beduine del deserto libico.

Forse un legame simbolico è anche quello di un adulto mummificato deposto nel mezzo tronco probabilmente di un sicomoro. L'albero con le radici nella terra e i rami verso il cielo potrebbe essere il "legame fra questi due mondi". Sono ancora visibili parti del sudario e della bendatura.

Fra le sepolture più antiche della mostra è quella di un neonato in cesta (37,5 per 18 cm). La Pozzi Battaglia osserva che forse si tratta di un "seppellimento secondario". Il neonato cioè sarebbe stato sepolto fino "alla consunzione, quindi sarebbe stato ripulito, disarticolato e posto nella cesta".

Per gli egizi la sepoltura non era semplice ricettacolo del corpo, ma una "abitazione funzionale alla vita dopo la morte". "Dimora dell'eternità", i "milioni di anni" come gli egizi esprimevano il concetto di eternità. La sepoltura doveva quindi essere dotata di un ricco corredo di cibi, animali macellati e vivi, "per garantire la sopravvivenza del defunto nell'aldilà". Nella stele in mostra di "Ny-Ankh-Inepu" da Gebelein, in quarzite giallo-bruna "splendido esempio della raffinatezza e dell'eleganza dei bassorilievi" sulle pareti delle mastabe nelle necropoli di Antico Regno, sono indicati "migliaia di stambecchi, migliaia di orici, migliaia di bovini e migliaia di uccelli".

Lo sviluppo di Assiut permise alla classe dominante sepolture con ricchi corredi "emancipandosi dal potere centrale". Un fenomeno definito "democratizzazione dell'aldilà" perché "ogni defunto diventava Osiride, prerogativa sino a quel momento destinata solo al faraone" e a chi lui voleva.

Elementi fondamentali del corredo erano le stele in pietra calcarea e le tavole d'offerta collocate nella cappella funeraria, a disposizione di parenti e sacerdoti per il culto del defunto. Le "case dell'anima" in terracotta (poche decine di cm) riproducevano nei cortili i cibi per il defunto. I poggiatesta elementari di legno e terracotta che in vita venivano usati durante il sonno e per "tenere lontano la testa da insetti e serpenti" (tuttora lo sono in Africa), seguivano il defunto. C'è anche un poggiatesta particolarmente pregiato (in avorio), molto raro nella pratica comune. Il defunto era anche assistito da portatori di alimenti, sacchi di granaglie, pigiatori d'uva, cuochi per assicurare l'eternità dei rifornimenti: sono statuine in legno dipinto alte da sei a 28 cm. Veri aratri ricordavano l'agricoltura: uno lungo 96 cm, da Gebelein, è un unico ramo biforcuto ancora oggi usato nelle campagne egiziane e lungo il fiume Senegal. I modelli di barche in pezzi unici di legno, dipinti in colore ocra o rossastro (lunghi 80-84 cm) con rematori, pescatori, equipaggi di marinai con le varie specializzazioni (alti 17 cm circa), ricordano "magicamente" la navigazione lungo il Nilo, la processione verso la necropoli, il pellegrinaggio al luogo sacro ad Osiride.

Il paio di sandali in cuoio viene dalla cosiddetta "Tomba degli Ignoti" a Gebelein, scoperta da Schiaparelli nel gennaio 1911. Una tomba inviolata, con tre pozzi. Giovanna Gotti spiega che questo tipo di calzature era per lo più fatta di suole semplici con legacci. I sandali in mostra (26 cm) sono un "bene di lusso", la suola sagomata col tallone e i legacci intrecciati ai lati del collo del piede e una striscia di cuoio attorno alla caviglia. Un modello "estremamente elaborato e prezioso".

I materiali dell'"Egizio" si concludono con una fortissima emozione. Sono i ramoscelli di persea, sicomoro, di vari arbusti, il mazzetto di spighe, le uova (ciascuna avvolta in fascette di papiro), tutto ciò che ha portato il "profumo della vita" a chi non c'era più. Quel "profumo della vita" che noi abbiamo ritrovato "intatto nella sua integrità a millenni di distanza" insieme a oggetti di grande deperibilità (legno, metallo, stoffe, papiro, fibre vegetali, fiori, profumi, alimenti, frutta). Un regalo incommensurabile del clima secco, del deserto in cui sono scavate tombe e templi.

Notizie utili - "Egitto mai visto. Collezioni inedite dal Museo egizio di Torino e dal Castello del Buonconsiglio". Dal 30 maggio all'8 novembre. Trento, Castello del Buonconsiglio. Promossa dalla Provincia autonoma di Trento e dalla soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte e del Museo antichità egizie. A cura di Elvira D'Amicone e Massimiliana Pozzi Battaglia (sezione del Museo egizio) e di Sabina Malgora con il coordinamento del direttore Franco Marzatico (sezione del Castello del Buonconsiglio).

Catalogo coedizione soprintendenza-museo-castello.

Biglietto: unico mostra-castello intero 7 euro, ridotto 4. Agevolazioni famiglie, visite guidate gratuite per i minori di anni 18. Ingresso ridotto reciproco per chi ha visitato a Bolzano, Museo archeologico dell'Alto Adige, la mostra "Mummie, sogno di vita eterna" (aperta fino al 25 ottobre).

Orari: 10-18; chiuso il lunedì.

Informazioni: 0461-233770 o sul sito del Castello del Buonconsiglio.

(19 giugno 2009) di GOFFREDO SILVESTRI