La vita attraversa le dune - La vita nel deserto

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Vivere in modo sostenibile

La delusione della nuova generazione di coloni non è l’unico problema che mette a rischio il progetto nuova valle. Questo suolo ha permesso la nascita di nuova vita grazie alla grande falda idrica nubiana, la più grande fonte di acqua fossile del mondo, che oggi è il motore del progetto di recupero di un territorio molto vasto. Le riserve, però, sono limitate e potrebbero esaurirsi in trecento anni. Ora l’acqua che arriva in superficie viene sprecata a causa delle condizioni dei canali di irrigazione, che disperdono metà del loro carico prima di raggiungere i campi. Il gruppo di lavoro di Jaskolski sta cercando di far capire quanto sia importante il risparmio idrico, ma è molto difficile convincere gli abitanti e il governo a non pensare solo al futuro immediato. “Anziché trasferire senza criterio più persone possibili, bisognerebbe ragionare sul tipo di comunità che si vogliono creare. Bisogna garantire dei servizi che permettano agli abitanti di vivere in modo sostenibile. E per ora non è così. Il governo sta cercando di replicare Abu Minqar ovunque. Pensa di risolvere così il problema del sovraffollamento della valle del Nilo. Se però si continua a sprecare il 50 per cento delle riserve idriche, non c’è futuro nel deserto. Se si prosciuga la falda, è finita per tutti”, spiega Jaskolski. A mano a mano che il deserto si trasforma, la presenza dello stato nella vita delle persone cambia in modo schizofrenico. Magari ad Abu Minqar lo stato è assente, ma in altre città e villaggi si sta radicando in forme del tutto nuove. Nel suo libro, Harding King racconta di piacevoli serate in compagnia di diversi omda una sorta di sindaci locali che governavano i loro piccoli feudi in relativa autonomia dal mamur, un funzionario dell’amministrazione coloniale designato dal Cairo. L’esploratore descrisse queste figure come saggi Salomoni, nepotisti corrotti o pazzi ubriaconi, Tutte persone originarie dei villaggi che amministravano. Rispondevano alle loro comunità, di cui conoscevano le sottili dinamiche. Oggi il progetto della nuova valle sta lentamente consegnando gli omda ai libri di storia, sostituiti dai posti di polizia presidiati da agenti della valle del Nilo, inviati qui dal Cairo. Insieme alla collina del cimitero turco di Budkhulu e alle dune scolpite della pista carovaniera di Ain Amur, uno dei posti più belli del deserto Occidentale è senz’altro il sito delle rovine della città vecchia di Qasr Dakhla. Quando Harding King soggiornò per diversi giorni in queste case con il tetto fatto di paglia e le porte di legno intagliato,Qasr Dakhla era un’animata città di mercato. Negli ultimi anni, chiunque potesse permetterselo ha comprato terreni nei nuovi insediamenti, lasciando i vicoli un tempo sovraffollati a un vecchio custode e alle sporadiche volpi del deserto. Saleh Hassan è l’ultimo sopravvissuto all’esodo. La sua piccola officina, dove forgia artigianalmente grandi quantità di falci per l’erba medica, usando il mantice e l’incudine, è qui da generazioni. Potrebbe essere stata visitata da Harding King, quando il proprietario era il nonno di Saleh. “Questi vicoli erano pieni di vita. Ora non c’è più nessuno”, ricorda Saleh. Anche l’antica gerarchia politica della città è scomparsa. Un secolo fa Harding King incontrò l’omda. Oggi se si visita il piccolo museo etnografico al centro della città vecchia, è possibile vedere il suo albero genealogico, da Mohammed a Mahmoud e a Kamal, il fratellastro di Fawzia Khala Hasaneen, che oggi gestisce il museo. “L’omda era un uomo di questa terra. Conosceva le nostre tradizioni. Per qualunque problema potevi sederti a tu per tu con lui e risolverlo. Non c’era nessun bisogno della polizia”, ricorda Fawzia. Oggi sì, perché dieci anni fa, quando il governo aprì un posto di polizia in città e inviò un agente dal Cairo, Kamal iii privato del titolo di omda. “Ma oggi c’è meno ordine e rispetto della legge. Gli abitanti hanno paura di rivolgersi alla polizia, così i conflitti restano irrisolti e l’armonia della comunità ne risente”, afferma Fawzia. Questo succede anche in altri villaggi, ogni volta che si eliminano le vecchie strutture del potere in nome del futuro dell’Egitto. “È cambiato tutto. Anche noi siamo cambiati”, conclude Fawzia. È questa la chiave per comprendere questo deserto di contraddizioni, dove le nostalgie e le novità vanno di pari passo. La paura che, mentre il deserto si trasforma e la tecnologia rovina il paesaggio, si perda qualcosa di autentico non è una novità. Già Harding King aveva messo in guardia contro i pericoli rappresentati per il deserto dalle auto e dagli aerei da ricognizione. Un secolo dopo, anche la guida Lonely Planet è scettica nei confronti della modernità. Gli autori non hanno da dire niente di positivo sulla città di Qasr Kharga, caso emblematico deipiani di sviluppo del governo, che nello spazio di pochi decenni si è trasformata da tranquillo villaggio in una città con quasi centomila abitanti, che però sono felici delle strade pulite, delle aiuole curate e delle comodità offerte dal progresso.