La preistoria Egizia

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La preistoria Egizia Non c’è compito più difficile per lo storico che il tracciare il graduale sorgere di una civiltà, perché ovviamente questo processo si compie in epoche in cui mancano o sono estremamente rari i documenti scritti. Al tempo stesso non c’è problema più interessante. […] Una settant’anni fa sarebbe riuscito difficile indicare plausibilmente un oggetto dell’antico Egitto anteriore all’epoca dei costruttori di piramidi, vale a dire alla IV dinastia di Manetone.

Alan Gardiner - La Civiltà Egizia

A dire il vero strumenti paleolitici erano già stati trovati, ma differivano poco o niente da quelli scoperti in Europa e non presentavano caratteri specificamente egizi. Il re Menes e i suoi successori erano noti solo attraverso gli scrittori classici e gli elenchi regali indigeni, e prima di Menes c’era il vuoto assoluto. S’incominciò a colmarlo nel 1894-95, quando Petrie e Quibell, nel compiere scavi presso Nakada nell’Alto Egitto, s’imbatterono in una vasta necropoli dalla quale vennero alla luce degli scheletri rannicchiati sul fianco come dormienti, insieme a vari oggetti, fra i quali vasi decorati con strani disegni geometrici e rozzi contorni di animali e navi. Gli scavatori, sconcertati ritenevano impossibile che queste reliquie fossero egizie e un indizio, in seguito dimostratosi errato, fece pensare a una data dell’oscuro periodo seguito alla VI dinastia. Ma non era ancora trascorso un anno che l’esperto paleontologo J. de Morgan scartò definitivamente l’ipotesi di una “Nuova Razza”. Sondaggi condotti senza metodo in varie località dell’Alto Egitto avevano riportato alla luce sepolcreti e vasellame di tipo molto simile, sempre accompagnati da un gran numero di utensili in selce, mentre mancavano quasi del tutto gli oggetti in metallo. L’egittologo Petrie non tardò a riconoscere il proprio errore e le susseguenti ricerche condotte da lui stesso e dai suoi assistenti, insieme a quelle di altri studiosi di vari paesi, fecero si che lo studio dell’Egitto predinastico diventasse un ramo assai fiorente, benché molto complesso e problematico, della scienza egittologica.

pugnale di gebel el arak
pugnale di gebel el arak

Per una curiosa coincidenza quegli stessi anni erano destinati alle scoperte iniziali di monumenti delle prime tre dinastie, e anche in questa circostanza Petrie e Quibeil furono tra i pionieri. Frattanto i geologi avevano incominciato a sondare nel passato ancor più remoto, anche se le loro indagini non si unirono che molto più tardi a quelle degli studiosi interessati unicamente alle prime vicende della razza umana.

Ormai è possibile esporre la storia dei primordi dell’Egitto in forma sufficientemente continuativa, anche se rimane da colmare una lacuna di tempo piuttosto notevole.

In un periodo remoto, forse un cinquanta milioni d’anni fa, tutta la regione che ora costituisce l’Egitto, come pure larghe porzioni dell’Africa settentrionale e dell’Arabia, furono sommerse dal mare. Fu in questo periodo, noto sotto il nome di Cretaceo, che si depositò l’arenaria nubiana e, sopra di essa, i primi calcari e le prime crete. Dopo un certo spazio di tempo la terra riemerse, solo per essere invasa ancora una volta dal mare avanzante da settentrione. Questo lungo episodio precedette un’epoca durata molti secoli in cui si depositò il calcare eocenico, detto nummolitico dai fossili marini che vi rimasero racchiusi.

Seguì una fase durante la quale si formò la depressione del Mar Rosso, mentre la terra, ripiegandosi sui due lati, dava origine alle alte montagne della penisola del Sinai e del deserto orientale. Solo più tardi, alla fine del Miocene, il Nilo incominciò a scavarsi la valle molto più in basso del piano alluvionale di allora. Il delta non esisteva ancora e al suo posto c’era un golfo del Mediterraneo. Verso la fine del periodo seguente, il Pliocene, s’instaurò un vasto moto di sollevamento, prima del quale però il letto del Nilo era stato quasi colmato dalle ghiaie e dalle sabbie portate dagli affluenti laterali o dalle acque di scolo. In questo cumulo di materiale il Nilo incominciò a erodere il suo letto definitivo e gli stadi successivi rimasero segnati da terrazze degradanti di ghiaia. I cinque strati più alti, durante la formazione dei quali il Pliocene entrò nel Pleistocene, non rivelano traccia di utensili in pietra né d’altre reliquie dell’uomo preistorico, ma nelle due terrazze seguenti vennero alla luce rudimentali asce di selce così simili a quelle dell’ultimo periodo glaciale scoperte in Europa che è invalso l’uso di chiamarle coi nomi di Chelleane e Acheuleane impiegati per la prima volta in Francia. I due strati successivi rivelarono strumenti del tipo detto Levalloasiano. Non molto al di sotto si raggiunge l’attuale livello del fiume che scorre sopra un vasto deposito di melma; a quanto pare, una volta avvenuta l’erosione a grande profondità, un lungo periodo di sedimentazione aveva fatto deviare il corso del fiume.

Gli attenti studi dedicati da Sandford e Arkell a questi movimenti geologici in tutta la lunghezza della valle portano a concludere che molti resti del Paleolitico superiore e del Mesolitico devono esser rimasti sepolti nella melma, e, negli strati più superficiali, le selci lavorate del Paleolitico superiore dette Sebiliane dal villaggio di Sebil nei pressi di Kom Ombo. Già fra il 1870 e l’80 si era incominciato a raccogliere attrezzi paleolitici e neolitici affioranti alla superficie dell’alto deserto, ma occorsero le esplorazioni sistematiche già accennate, insieme ad altre condotte nel Fayyum e nell’oasi di Kharga da Caton Thompson e Gardner, per stabilire gli esatti rapporti tra le varie fasi dell’uomo paleolitico e gli stadi successivi della formazione della valle nilotica. Un abile e cauto geologo ha avanzato l’ipotesi che la cultura Sebiliana sia finita verso l’8ooo a. C., cioè cinquemila anni prima dell’inizio del periodo che soprattutto c’interessa.

Mentre l’Europa era ancora nella morsa dei ghiacci e l’uomo di Neandertal conduceva una grama esistenza cacciando e cercando erbe commestibili, una forte piovosità aveva mantenuto abitabile una parte notevole dell’Africa settentrionale.

Dove ora si stende l’arido deserto vi erano piante e animali a sufficienza per offrire sostentamento alla vita umana. È difficile dire che tipi di uomini fossero quelli che allora si nutrivano di cacciagione e radici, ma certe ossa fossili scoperte a Kaw el-Kebir fanno pensare che non differissero troppo dalla razza che abitò nella stessa regione fino all’epoca dinastica. Mentre il Pleistocene stava per concludersi e il Nilo scavava in profondità restringendo il suo letto, la crescente aridità degli altopiani spingeva via via uomini e bestie verso il fiume, dove l’annuale deposito del ricco limo nilotico favoriva una vita più complessa e sedentaria, dedita all’agricoltura.

Incominciò così quello stadio più evoluto dell’umanità noto come Neolitico. I paleontologi hanno scoperto che i termini di Paleolitico e Neolitico servono egregiamente ai loro scopi, sia che si prenda in considerazione l’Europa, o l’Africa, o altre parti del mondo. Questi termini non si riferiscono a date, ma a stadi dell’evoluzione umana; per esempio certe opere degli aborigeni dell’Australia centrale possono ancor oggi considerarsi appartenenti all’età della Pietra Antica, o Paleolitico, mentre i Maori, che posseggono un grado di cultura notevolmente superiore, meno di due secoli fa non erano ancora usciti dall’Età Neolitica, o della Pietra Nuova. Questi termini derivano dagli strumenti usati, nel primo caso di pietra rozza, nel secondo di pietra levigata, ma la parola Neolitico ha finito col prendere un significato alquanto diverso, o meglio a sottintendere l’assenza di utensili di rame o di qualsiasi uso di questo metallo.

Ora, come assistemmo alla scomparsa della cultura Sebiliana (Paleolitico superiore) sepolta nel limo accumulato dal Nilo, cosi anche lo stadio neolitico, nel significato più ristretto del termine, si è sottratto completamente ai nostri sguardi. L’intervallo di tempo fra il suo inizio e quello della fase Tasiano-Badariana, dalla quale riprenderà il nostro racconto, è stato calcolato a tremila anni e più, durante i quali la valle del Nilo assunse le dimensioni attuali e un clima assai simile a quello odierno, mentre il deserto circostante si faceva sempre meno abitabile, lasciando isolato l’Egitto come una specie di grande oasi in cui una civiltà fortemente individualizzata fu libera di evolvere ininterrottamente i propri caratteri.

Prima di passare a trattare dei più antichi insediamenti umani neolitici nell’Alto Egitto, sarà bene citare alcune località, per lo più situate nella parte settentrionale del paese, dove non si è trovata traccia dell’impiego di metalli. La più estesa è Merimda-Beni Salama, una cinquantina di chilometri a nord-ovest del Cairo, al margine del deserto, dove scavi effettuati da archeologi austriaci e svedesi hanno riportato alla luce i resti di una comunità che abitava in capanne di giunco, in parte affondate sotto il livello del suolo. Il grano veniva immagazzinato in vicini silos fatti di cesti di paglia intonacati d’argilla. Brandelli di stoffa e pesi da fuso indicano che la tessitura era in uso. Gli ornamenti scarseggiano, ma si sono trovati bracciali d’avorio e grani d’osso e di conchiglia. Il vasellame, che come tutte le terraglie predinastiche era fabbricato senza l’uso della ruota da vasaio, ancora sconosciuta, è per lo più rozzo e privo di decorazioni. Si è ritenuto un segno di estrema antichità il fatto che i morti non fossero sepolti in necropoli, ma fra le capanne dei vivi o addirittura all’interno delle abitazioni. Qualche studioso però nega la precedenza cronologica dei reperti di Merimda e li attribuisce a una civiltà ritardata, fiorita quando già gli oggetti in metallo erano divenuti d’uso comune nell’Alto Egitto. A questa opinione si è ribattuto citando l’esempio di un’altra località settentrionale con caratteri molto simili, situata a nord di Birket Qarun (Neolitico A del Faiyum), dove furono eseguiti scavi da Caton Thompson. Questa località si trova così in alto sui livello del lago che attribuirle una data più tarda non si accorda con gli altri strati culturali osservati nel luogo.