Evoluzione dell'arte nel Nuovo Regno

Prologo - Jean Leclant: brano tratto dall'ottimo libro edito da Rizzoli-Corriere della Sera:
Egitto: l'impero dei conquistatori - dal XVI all XI secolo a.C.

L'Egitto dell'Antico Regno si impone maestoso e severo nel suo splendido isolamento, alle soglie di una lunga storia; alla gloria delle Piramidi si associa quella del faraone, allora pari agli dei. Poi, alla svolta del secondo millennio, col Nuovo Regno, l'Egitto, ampliando le frontiere, estende il proprio dominio verso la Nubia e i vicini territori asiatici.

Ma solo seguito all'invasione degli Hyksos, i "re pastori", e al turbamento di una dominazione straniera, si afferma, all'inizio del Nuovo Regno, per reazione, un nazionalismo teso alla conquista e all'egemonia; nel fragore delle battaglie, l'Egitto si impadronisce di un impero che ben presto sì estende in Africa sino al limite della Quarta Cateratta del Nilo e, attraverso la Siro-Palestina, spinge le truppe farmniche fino al grande gomito dell'Eufrate.

Durante quasi mezzo millennio (1552-1070 circa), l'Egitto conquistatore presiede a questa mescolanza di popoli e di regni. Nel suo, dominio africano, limitato d'altronde dal corso del fiume, si comporta da potenza coloniale, senza incontrare una forte opposizione, mentre in Asia riesce a esercitare solo un protettorato, spesso contestato, ed e costretto a misurarsi con avversari temibili, i Mitanni prima e gli Ittiti poi. Per quanto cerchi di conservare la sua assoluta individualità, sottoposto solo ai suoi dei e all'istituzione faraonica, l'Egitto none più solo. I contatti a volte brutali, conseguenza delle guerre, sono alternati evidentemente con fasi di scambi commerciali e le influenze dall'esterno sono perciò varie e numerose. L'importanza dei militari aumenta: a fianco degli scribi, dei sacerdoti e degli amministratori, e spesso al di sopra di essi, si affermano gli ufficiali, sopratutto quelli al comando dei carri da guerra, poiché ormai l'uso del cavallo con attacco, imitato dall'Asia degli Hyksos, ha fatto la sua comparsa; i carri sono la forza di sfondamento nei combattimenti; divengono sempre più numerosi "pronunciamientos": un gruppo di militari pone fine alle esitazioni della XVIII dinastia che sta per finire e organizza l'ascesa della XIX, quella dei Ramessidi.

Con l'affluire delle ricchezze, dei bottini e dei tributi, si sviluppano il gusto per il lusso e le manifestazioni del fasto. Sono ormai finite l'austera grandezza e la sobria eleganza delle epoche anteriori. Le grandi costruzioni di prestigio aumentano di numero. Nella profusione dell'oro e delle pietre più rare spiccano gioielli e arredi di gala. Cerimonie fastose celebrano la gloria degli dei, del faraone e della corte. Trionfa ormai la moda; i sottili ricami del quotidiano e del contingente vengono eseguiti su quello sfondo in cui domina costantemente affermato lo stesso desiderio d'eternità dei secoli passati.

Anche se in seguito furono aborriti come veri barbari - "al tempo di questa peste", riportano i testi -, gli Hyksos mantennero vive le scienze e le arti dei tempi precedenti, sviluppando persino nuove forme decorative: spirali e palmette. Le vittoriose battaglie dei nomarchi tebani, Kamose e poi Amosis (1552-1527 ca.), portarono poi alla liberazione. In un Egitto che indirizza ogni sforzo a cacciare il nemico, sia nel Sud sia nel Nord, gli inizi della ripresa artistica sono modesti; la serietà di uno stile spoglio e classico si tinge talvolta di quel che potrebbe parere accademismo: è il riannodarsi con la tradizione, soprattutto quella del Medio Regno. Il rigore delle forme è appena attenuato dai tocchi di una tenera femminilità: i rudi guerrieri, che fondano il Regno, concedono eminente rilievo alle regine madri. L'elegante semplicità contrassegna i regni di Hatshepsut e di Thutmosis III. Le opere volute dalla regina seppero raggiungere la gradiosità: vasti cortili limitati da portici del "Sublime dei sublimi", il grande tempio funerario di Hatshepsut, che dispiega le sue immense direttrici orizzontali dinanzi all'alta falesia di Deir el Bahri; piloni e obelischi del tempio di Karnak; straordinaria serie di statue dove si impone il piccolo volto triangolare, dallo sguardo acuto, intelligente e imperioso di colei che volle essere faraone. Allontanato dal potere dalla zia e matrigna per vent'anni, Thutmosis (1490-1436), in diciassette campagne, riesce a ingrandire l'impero in Asia e organizza la lotta, spesso vittoriosa, contro i Mitanni. Sin dalla prima campagna, Thutmosis III vince la battaglia di Megiddo, ma è soltanto durante l'ottava che raggiunge l'Eufrate. La tomba di questo grande conquistatore è molto semplice: sulle pareti è ampiamente ripetuta l'imitazione di un papiro funerario. La decorazione delle tombe private resta abbastanza severa; le forme sono rigorose nella loro distinzione e spesso sottolineate da contorni decisi; la tavolozza è parca: toni chiari, ma spesso freddi. Amenophis II (1438-1412), il re-atleta, rafforza l'impero, reprimendo duramente le rivolte; i pilastri della sua camera sepolcrale sono decorati con semplici disegni schizzati, eppure di commovente potenza nella loro sobrietà.

Sotto il faraone Thutmosis IV (1412-1402) si delinea il cambiamento; con l'accrescersi del lusso compaiono nuovi accenti di modernismo. Le tombe dei notabili conoscono uno straordinario sviluppo; le composizioni si fanno complesse: nella raffinatezza sempre maggiore degli abbigliamenti e delle parures, colori caldi animano le scene dove non si teme più l'accumularsi di particolari spesso mutevoli. Il trionfo dell'eleganza è raggiunto sotto Amenophis III (1402-1364); il faraone e la sua affascinante sposa Tiy si fanno rappresentare tra l'opulenza delle scene di corte. Rilievi e statuaria testimoniano di uno straordinario virtuosismo non privo di un certo manierismo; la tomba del visir Ramose offre la pienezza di un'arte che è difficile immaginare avrebbe in seguito superato se stessa.

La tensione di perfezione è tale che all'improvviso avviene l'esplosione. La rivoluzione di Amarna, che trae le sue origini dalla crescente dedizione ad Aton, il "disco"; cioè la forma visibile del dio solare Ra, riveste l'eresia religiosa con un vero e proprio rovesciamento dei valori artistici. Proclamando il ruolo eminente di Maat, la Verità-Giustizia, figlia essa stessa di Ra, il faraone si fa rappresentare come è realmente: questo adenoideo non ha paura di esibire la fronte sfuggente, il collo troppo allungato, le membra gracili, il ventre gonfio. Realismo che diventa presto eccesso, giacché sua moglie, la meravigliosa Nefertiti, e i suoi figli e in seguito tutta la massa dei cortigiani si fanno rappresentare nello stesso modo. In questa liberazione delle forme del visibile, vi è la creazione di uno stile che si vorrebbe volto verso una certa originale purezza. E, di fatto, il soffio della natura, che dà ampio respiro ai grandi Inni di Akhenaton dedicati alla gloria del disco solare, anima i suoi vasti pannelli dove, una volta abbandonati gli stretti registri, in piccole scene discontinue saltellano gli animali e si affaccendano gli artigiani; comincia a organizzarsi un nuovo senso dello spazio e, al limite, una percezione visuale nuova. Non è il semplice episodio di una contesa contro i sacerdoti di Amon, ma una vera eresia e una nuova visione del mondo. La "rivoluzione" ha inizio nel-la stessa Tebe: nell'Est di Karnak, più vicino così alla nascita del suo dio-sole, il faraone Amenophis IV fa innalzare santuari costruiti in piccoli blocchi di grès - le ormai famose talatates, che sono state raccolte a decine di migliaia, e continuano a essere scoperte, nelle rovine di Tebe. Poi, divenuto Akhenaton, egli fonda nel Medio Egitto, in un luogo puro, una nuova città, Akhetaton, "l'orizzonte del disco"; l'odierna Tell el Amarna. Bisognerebbe poter seguire le fasi del parossismo e i periodi di ritorno alla calma. Pur con le sue forme strane, le sue distorsioni anatomiche o surrealiste, il suo accademismo da incubo ma anche con la sua foga naturalistica, l'arte amarniana altro non è, nel cuore della civiltà faraonica, che un brevissimo episodio di pochi anni - seppure volontario: la scalpellatura del nome e delle immagini di Amon fu sistematica, spinta fino alle frontiere dell'impero, nei più lontani templi della Nubia e persino nelle cappelle degli ipogei.

La restaurazione fu altrettanto metodica e totale. Tutankhaton, divenuto Tutankhamon (1347-1338), restituì al dio dinastico di Karnak la sua potenza e i suoi beni. E se nella sua tomba, miracolosamente preservata, il nome di Aton permane su qualche oggetto, ormai il manierismo è solo un modo per ritornare verso il classicismo tradizionale. A Karnak ci si limita a rifare alcuni elementi mobili, fra cui le barche sacre, mentre le pareti del colonnato d'ingresso di Luxor sono decorate con i rilievi della bella festa dell'harem. La restaurazione prosegue sotto Horemheb (1333-1306). Quand'era ancora un generale si era fatto costruire una tomba a Saqqara. Celebre da molto tempo per splendidi frammenti dispersi nelle grandi collezioni, essa è stata del tutto scoperta solo in tempi più recenti: i suoi rilievi conservano il meglio delle lezioni di el Amarna; la libertà dei movimenti, pur ragionevolmente contenuta, si dispiega in una grande naturalezza di atteggiamenti: i prigionieri africani, per esempio, vi costituiscono una bella esemplificazione di tipologia esotica, asservita a un ben preciso programma di dominio.

Al faraone Horemheb succede il compagno d'armi Ramses I (1306-1304), e quindi il figlio di quest'ultimo, Sethi I (1304-1290). Inaugurando una nuova dinastia, la XIX, abbandonano del tutto el Amarna; ma niente ormai poteva tornare coro prima. Una parte dell'eredità amarniana, pur incorporata nel classicismo faraonico, resta ancora viva; permane un accento nuovo: una sorta di spiritualizzazione, talvolta di malinconia, riflette l'inquietudine mistica di un episodio eccezionale. Originari del Delta orientale, i Ramessidi presentano caratteri somatici che ricordano quelli dei vicini semiti: crani allungati, nasi dominatori; l'assottigliarsi delle membra e le ampie vesti dagli eleganti drappeggi accentuano l'allungarsi delle proporzioni.

Sotto il faraone Sethi I la volontà di epurazione appare totale: un sublime accademismo regna nel "tempio di milioni di anni" di Abido, in ammirevoli rilievi cesellati nel calcare compatto di Tura; in eterni dialoghi, l'immagine ripetuta del re sta di fronte ai grandi dei dell'Egitto, quelli dell'impero, Amon, Ra, Ptah, e a quelli dell'aldilà, Osiride, Iside e Horus. A Karnak, Sethi I, con un materiale che sfortunatamente è il grès piuttosto grossolano delle cave di Gebel Silsila, sviluppa a ogni lato del colonnato centrale edificato da Horemheb le due vaste ali della sala ipostila, orgogliosa costruzione che ha sfidato i secoli. "Mi guarderò bene dal descrivere qualcosa, perché le espressioni non renderebbero la millesima parte di ciò che si deve dire parlando di tali oggetti, oppure, se ne tracciassi un debole schizzo, anche molto scolorito, mi si prenderebbe per un entusiasta, in parole povere per un pazzo"; ha scritto Jean-Francois Champollion.

Viene poi il lunghissimo regno di Ramses II (1290-1224), altro momento grandioso dell'epopea faraonica. L'arte è imperiale, all'altezza delle infaticabili lotte egizie per l'egemonia. Ramses II combatte in Asia per arginare gli Ittiti, e anche se la battaglia di Kadesh è lungi dall'essere la schiacciante vittoria celebrata dal Poema di Pentaur, in seguito verrà firmato un trattato, preludio a una pace di compromesso, allietata da un matrimonio. Ramses II può così contenere la minaccia delle tribù della Marmarica nel fianco occidentale del paese e incorporare nel suo esercito, dopo averle sottomesse, le prime orde dei Popoli del Mare. Si affermano forme monumentali; trionfa il colossale; un disegno sistematicamente geometrico compone le sculture sulle superfici architettoniche; nella facciata dei due templi di Abu Simbel, le enormi figure regali sono scolpite nel corpo stesso della montagna. Il numero delle opere è tale da determinare una produzione in serie; frequente diventa l'appropriazione di monumenti di epoche precedenti. Accanto alle tendenze verso un ritorno all'arcaismo, sostenute dal principe Khaemuaset, ripristinatore del passato, esistono ricerche nuove: la tecnica del rilievo scavato è divenuta ormai comune, sia negli interni sia negli esterni, conseguenza forse del progredire dell'idea solare; al di là di un certo barocchismo, talvolta prende forma una sorta di romanticismo. La decorazione si fa sovraccarica; l'attenzione converge sugli ornamenti e le parures braccialetti, collane, orecchini. Ci si allontana da quella nobile semplicità che, senza dubbio, è l'essenza dell'arte egizia. Le influenze straniere, provenienti dalla Siria e dall'Egeo, si manifestano in alcuni caratteri nuovi: come le ricerche di movimento, che conducono a una delle glorie dell'epoca ramesside: le grandi scene storiche. Le imprese di Kadesh si sviluppano in vaste composizioni a Luxor e a Karnak, nel Ramesseum, ad Abido; un posto eminente è riservato al cavallo, prezioso acquisto a cui i Conquistatori del Nuovo Regno devono il successo. Prevale il gusto del particolare e, come nei dipinti tombali, l'artista apporta la sua impronta personale. Preziosi indizi sull'individualismo di un periodo del quale gli ostraca iscritti costituiscono una forma tipica d'espressione: spontaneità, fantasia, freschezza di tocco sono anche i valori di un'epoca molto complessa.

Le caratteristiche dell'arte di Ramses il Grande persistono durante la XIX e la XX dinastia. Le ultime grandi opere tebane sono quelle di Ramses III (1184-1153), vincitore della coalizione delle tribù libiche (Libu e Meshush) e dei Popoli del Mare. Egli fa costruire un tempio davanti all'attuale secondo pilone di Karnak e un altro nella cinta di Mut; forse dà inizio alla costruzione del tempio di Khonsu e, soprattutto, innalza "il castello di milioni di anni del re Usirmaatra amato da Amon, unendosi per l'eternità nel regno di Amon all'Ovest di Tebe"; l'enorme tempio di Medinet Habu, le cui rovine sono ancora fra le più importanti della riva funeraria. Segue poi la successione di Ramessidi sempre più deboli e oscuri, fino alla silenziosa scomparsa di Ramses XI (intorno al 1070). L'impero va in frantumi, sia in Asia sia in Africa; a palazzo aumentano gli intrighi tra le donne di un harem onnipotente, fra principi rivali, sacerdoti cupidi, cortigiani tra i quali gli stranieri sono sempre più numerosi. I difetti dell'arte ramesside si amplificano: pesantezza, sovraccarico, dismisura senza vera grandezza, disordine. Ma nel barocco monumentale e nell'opulenza dei gioielli si individuano opere di valore, come quelle di Tauseret o i pendenti auricolari di Ramses XI; la forza creatrice si manifesta nel gran numero di statue; le qualità tecniche rimangono. È la chiusura di un capitolo della storia politica dell'Egitto più che la fine dell'arte egizia, come si è troppo spesso, a torto, lasciato credere.

Jean Leclant